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Lo studio è stato condotto, dalla dott.ssa in Psicologia e Giurisprudenza Paola Barletti, per la sua Tesi di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica, dal titolo: “Trauma evolutivo e dolore cronico. La connessione corpo-mente nell’approccio al dolore pelvico”.

Il questionario integrato alla sua Tesi di Laurea è stato somministrato, grazie al sito Cistite.info e al sito www.ucpps.men (quest’ultimo, purtroppo, non più esistente) a donne e uomini che soffrono di dolore pelvico. L’obiettivo è stato di correlare trauma infantile, ansia, dissociazione e dolore."

 

 

Namawork®

Namawork® dal sanscrito ‘nam’ che significa ‘inchinarsi, salutare’ nasce dalla ricerca di una guarigione definitiva al dolore pelvico cronico e si arricchisce grazie agli studi sul trauma e sulla connessione corpo-mente-spirito. E’ così che questa modalità di dialogare col dolore si trasforma in un’attitudine verso la vita, dove inchinarsi richiama la gratitudine e il salutare richiama il riconoscimento, per sé stessi, per gli altri, per la vita quale dono più grande che ognuno di noi ha ricevuto.

Ho iniziato, questa strada, per me. La visione del Dr. Wise e del Dr. Anderson, autori del manuale “Un mal di testa nel bacino” (1) e creatori del Protocollo di Stanford mi ha guidato e mi ha portato fino in California nella loro 6-day clinic nel 2016. Il dolore pelvico viene da loro definito come “un disordine neuromuscolare intimamente associato all’eccitazione del sistema nervoso” (2) e viene visto nella sua dimensione funzionale che guarda al di là della sintomatologia dolorosa.

Leggendo il loro manuale, ho capito che, se volevo guarire, dovevo diventare la mia migliore amica o come nelle parole scritte da un suo paziente al Dr. Wise: “sono dovuto diventare il medico che avevo tanto cercato” (3). Dovevo scegliere come fronteggiare il dolore e Wise e Anderson dicevano: “il modo in cui vedi un problema è la chiave per risolverlo… la spiegazione del dolore pelvico a cui credi determina il tuo modo di curarlo…- e -… le tue idee sul tuo problema determinano quello che farai per risolverlo” (4). E io sentivo dentro di me che qualcosa non andava e sapevo quanto ero addolorata per la mia esperienza infantile. Non potevo concepire il dolore pelvico come separato da essa. E così ho iniziato a cercare.

 

Obiettivo

Ho trascorso 25 anni a cercare una cura vera, completa, definitiva per questa sindrome dolorosa, che non fosse solo una gestione del dolore, ma che risalisse alle cause. Avevo incontrato persone migliorate, ma nessuno ‘guarito’ nel senso che intendevo io. C’era, spesso, un senso di resa, nelle loro parole, che non volevo fare mio, così come non mi soddisfaceva l’approccio sintomatico che ho incontrato in ginecologi e urologi, che mi dicevano: “a noi non interessa la causa del dolore, vogliamo soltanto togliere il sintomo”. Io sentivo, invece, che se avessi soppresso il dolore, avrei perso una traccia fondamentale di guarigione. Sentivo che la strada era sentire, sentire di più, e ancora più precisamente ‘sentirmi di più’. Aumentare la percezione corporea, la percezione dei bisogni e delle emozioni è stata la strada maestra che mi ha permesso di guarire e che ha trovato conferma nel mio lavoro di ricerca, culminato nella creazione di un Questionario Anonimo sul Dolore Pelvico maschile e femminile di 39 domande.

Il Questionario è andato a far parte della mia Tesi di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica dal titolo: “Trauma evolutivo e dolore cronico. La connessione corpo-mente nell’approccio al dolore pelvico”.

 

Risultati

Il Questionario, scritto sia italiano che in inglese, è stato somministrato, grazie al sito Cistite.info e al sito www.ucpps.men (quest’ultimo, purtroppo, non più esistente) a donne e uomini che soffrono di dolore pelvico. L’obiettivo è stato di correlare trauma infantile, ansia, dissociazione e dolore. Le risposte ottenute sono state indicizzate e riportate su assi cartesiani, in modo da permettere la creazione di grafici statistici.
Volevo ricavare informazioni a sostegno della mia visione del dolore pelvico, che io definisco come ‘un meccanismo di difesa per la gestione di emozioni sopraffacenti di natura traumatica’ che ogni individuo gestisce, nella sua unità corpo-mente, in modo unico e irripetibile, dipendente dalla sua storia personale.

Il trauma da me indagato rimanda alle diciture di:

  • trauma complesso dell’OMS (2018)
  • trauma dello sviluppo o evolutivo (definizione dello psichiatra Bessel Van der Kolk (5))

 

Nel trauma evolutivo il bambino o adolescente si trova esposto a circostanze esterne estreme prolungate e ripetute nel tempo. Si tratta di un trauma relazionale, causato da una persona nota al bambino, in cui viene perduta la fiducia nelle relazioni primarie. E’ una configurazione post-traumatica con storie di traumatizzazioni complesse, vissute durante l’età evolutiva che determina lo sviluppo di sintomi non riconducibili alla categoria diagnostica del PTSD, la quale ultima non descrive in maniera esaustiva la molteplicità e la complessità degli effetti del trauma durante la fase di sviluppo.

Il vissuto traumatico infantile causa uno stato di arousal che porta il sistema nervoso autonomo in perenne attivazione, fino a causare stati dissociativi e tensioni muscolari croniche. La sofferenza vissuta, in quanto sopraffacente, non può essere mentalizzata e trova la via corporea non avendo trovato la strada della mente. Le emozioni non nominabili e non riconoscibili, vengono percepite come minacce interne. Portare l’attenzione verso il dolore fisico diventa la via per mantenersi distanti dalle proprie emozioni.
Il percorso di guarigione richiede il recupero della saggezza del corpo che sa, se solo lo si ascolta.

E questa saggezza si è mostrata evidente nelle risposte al Questionario.

  • Domanda: Qual è la causa principale del tuo dolore pelvico? Risposta: Contrazione muscolare secondo il 63,3% dei casi (76 risposte su 120 partecipanti)
  • Domanda: Quali strumenti ti aiutano ad alleviare lo stato di dolore? Risposta: Calore nel 75,8% dei casi (91 risposte su 120 partecipanti)

 

Le persone già sanno, ma non ne hanno piena consapevolezza. Nel loro processo di mentalizzazione, hanno imparato a “trattare se stesse come sono state trattate” (6)  e queste modalità apprese sono andate a configurare la loro 'normalità'. E per questo troviamo, nelle risposte, che lavorare più di 8 ore al giorno è normalità, così come sopportare il dolore continuando a stare seduti, pur sapendo che così aumenterà. ‘Bisogna andare avanti a dispetto del dolore’ sembrano dire alcune risposte e infatti nella maggioranza dei casi nessun giorno di lavoro è stato perso a causa del dolore.
Lo stato di tensione psico-corporeo viene attribuito allo stress, all’eccesso di lavoro, all’incertezza, alla mancanza di autostima, alla mancata percezione dei bisogni e al loro sacrificio a favore dei bisogni altrui, al mancato contatto con le emozioni. La modalità prevalente è un vissuto passivo in cui si è perso il proprio senso di efficacia.

Due domande del Questionario danno voce al dolore per recuperare il contatto con i propri bisogni ed emozioni e per rispondere a quel bisogno fondamentale di dare senso che è intrinseco all’essere umano.
E allora si può far parlare il dolore.

 

Se il dolore potesse parlare, cosa racconterebbe? (81 risposte)

 Cosa racconterebbe

E tra queste risposte dice: ‘Che è qualcosa di vivo, sei tu’

E ascoltare il dolore.

 

Se tu potessi parlare con il dolore cosa gli diresti? (87 risposte)

Cosa gli diresti

E tra queste risposte dice: ‘Grazie, ho trovato anche il coraggio di divorziare’

 

E notare che queste due risposte che ho riportato si associano ad un grado di intensità del dolore pelvico ormai pari a zero a dimostrazione che una volta raggiunto un maggior contatto con Sé, i propri bisogni e le proprie emozioni, possono emergere sentimenti di accettazione e persino di gratitudine verso il dolore che hanno il potere di trasformare il dolore stesso.

Nella stessa direzione troviamo il Dr. Wise e il Dr. Anderson che distinguono due visioni del dolore pelvico: “dalla prospettiva corpo-macchina… il dolore non dovrebbe essere ascoltato, ma solo eliminato… Non c’è una relazione tra il dolore/disfunzione e il modo di pensare, sentire, lavorare, relazionarsi e in generale vivere di chi lo prova… - dall’altro lato - quando riconosci l’intelligenza del tuo corpo e vedi i sintomi come un segno che il tuo corpo vuole parlarti, acquisti un punto di vista diverso… è come se dicessi al tuo pavimento pelvico… voglio capire che cosa stai cercando di dirmi con il tuo dolore e la tua disfunzione e voglio ascoltarti per sapere come aiutarti” (7).

Questa è anche la visione di Namawork® che ha l’intento di aiutare i paziente a mettere tra gli ingredienti necessari alla guarigione la saggezza del loro corpo e la cura di Sé. Un approccio in cui la persona e non il sintomo sono al centro.
Possiamo allora scoprire che la storia che ci raccontiamo è determinante nella guarigione. Una storia: “da cui cogliere non tanto i sintomi in quanto tali, ma il percorso che li genera” (8).

 

Conclusioni

Nel dare senso al dolore attraverso l’approccio della psicologia narrativa ci permettiamo di ascoltare cosa dice il dolore. E ascoltandolo, potremmo scoprire che la prima cosa che dice è: 'stringi troppo, così mi fai male, ho bisogno di mollare e di ossigeno'. E questi non sono solo messaggi metaforici, ma anche letterali. L'approccio narrativo diventa curativo proprio favorendo un ascolto profondo di Sé, da cui nasce rispetto di Sè e dei propri bisogni.

Ed è la ricerca di senso attraverso la storia che ci permette di guarire. Una ricerca di senso che ha bisogno di essere guidata, così come il nostro percorso di consapevolezza, verso una visione più ampia in direzione del nostro benessere. Dove il dolore non è una malattia che cade addosso e si può solo subire, ma al contrario un'occasione per ritrovare se stesse e diventare artefici del nostro stesso percorso di guarigione.

L’obiettivo è favorire trasformazioni profonde e risolutive, in quanto emerse da nuove percezioni di Sè e narrazioni di Sé. Psicoterapia Corporea e Psicologia Narrativa diventano strumenti preziosi, che si integrano e si valorizzano vicendevolmente. Per questo scrivo: “il mio corpo è il mio neonato” e aggiungo: “il dolore è una delle sue voci”. Dobbiamo solo decidere di ascoltare.

 

Dott.ssa Paola Barletti
Psicologa (iscritta al n. 10633 dell’Ordine psicologi della Toscana)
Specializzanda in Psicoterapia Corporea (Scuola Biosistemica)
Somatic Experiencing® Practitioner
Counselor psicocorporeo - Giurista - Mediatrice Familiare
Ideatrice metodo Namawork® per il dolore pelvico e cronico 

 

 

Bibliografia

  1. D. Wise e R. Anderson, Un mal di testa nel bacino: una nuova interpretazione e una terapia per le sindromi del dolore pelvico cronico. National Center for Pelvic Pain Research, VI edizione, 2015
  2. D. Wise e R. Anderson, op. cit., p. 116
  3. D. Wise e R. Anderson, op. cit., p. 271
  4. D. Wise e R. Anderson, op. cit., pp. 61 e 64
  5. Van Der Kolk B., Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche. Raffaello Cortina Editore, 2015
  6. Cancrini L., La cura delle infanzie infelici. Viaggio all’origine dell’oceano borderline. Raffaello Cortina, 2012
  7. D. Wise e R. Anderson, op. cit., pp. 72 e 75
  8. Fabiano G., Nel segno di Andrea Camilleri. Dalla narrazione psicologica alla psicopatologia. FrancoAngeli, 2017, p. 130

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