Il dolore pelvico cronico è un campo d’indagine complesso e trascurato. La vulvodinia è un disturbo che presenta eziologia ignota ed i trattamenti disponibili ottengono risultati molto variabili. La mancanza di un preciso inquadramento della patologia, insieme all’assenza di chiare linee guida porta ad un notevole ritardo diagnostico (Bornstein, 2016), per cui diventa essenziale stabilire una relazione medico-paziente orientata alla condivisione e all’ascolto attivo.
*Responsabile del progetto: Teresa Gavaruzzi
Laureanda: Susanna Gorini
Corso di laurea Magistrale in Psicologia di Comunità
Università degli Studi di Padova
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Lo studio ha coinvolto donne con dolore pelvico cronico con l’obiettivo di indagare il modo in cui sono state vissute alcune esperienze relativamente a decisioni mediche riguardanti la salute. Questo ha permesso di considerare la possibile relazione tra la vulvodinia e le decisioni medico condivise, ipotizzando che una maggior condivisione con lo specialista comportasse una maggior adesione alle cure.
Dallo studio emerge l’importanza della condivisione ed il coinvolgimento della donna nella relazione medico paziente, il quale si identifica come fattore protettivo relativamente all’interferenza dei sintomi con la vita quotidiana.
Nonostante e si assista ad un maggiore interesse e sensibilizzazione della popolazione sul tema, purtroppo l’attribuzione psicosomatica dei sintomi persiste e la mancanza di condivisione con le figure professionali di riferimento può inficiare sulla soddisfazione e l’adesione alle cure.
Dolore pelvico
Il dolore pelvico cronico è una problematica che coinvolge totalmente la vita di una donna, influendo pesantemente sulla sua intimità e sulle relazioni sociali.
La vulvodinia colpisce una donna su sette, con un ritardo diagnostico medio di circa 4,5 anni e, mediamente, con un numero minimo di specialisti consultati pari a tre (Harlow, e Stewart, 2003; Graziottin et al., 2020; Brotto et al., 2021).
Data la difficoltà a effettuare una diagnosi corretta ed in tempi brevi, è estremamente importante riorientare i servizi specialistici mettendo la paziente al centro del percorso terapeutico. Questo focus sulla paziente e sulle sue esigenze riflette la consapevolezza che le modalità assistenziali possano influire sul benessere a lungo termine della donna, influenzando l’andamento della terapia (Hintz, 2019).
La relazione tra medico e paziente riveste un ruolo centrale, in particolare quella in cui lo specialista dedica tempo alla visita e fornisce un’adeguata diagnosi, comprende il dolore della paziente e lo stress che la stessa deve tollerare, coinvolgendola nel processo decisionale. Siamo nel campo della “Shared Decision Making” ovvero della decisione medico condivisa, all’interno della quale paziente e specialista cooperano per raggiungere decisioni a vantaggio della salute.
Lo studio
Dai dati individuati in letteratura sembra che la qualità delle cure ricevute caratterizzate da empatia ed elevata relazionalità possano influenzare positivamente il percorso terapeutico di persone interessate da patologie croniche. Nello specifico, alcuni studi (Venetis, et al., 2019; Hintz, 2019) mettono in relazione la soddisfazione per le cure ricevute da pazienti con dolore pelvico cronico e alcuni aspetti relativi al personale medico-sanitario come la presenza di compassione, la propensione all’ascolto, una chiara comunicazione, la qualità del tempo dedicato alla visita ed il coinvolgimento. Questi elementi vanno ad influenzare positivamente la relazione tra paziente e personale medico, andando ad incidere sulla qualità di vita della donna.
In linea con queste evidenze ha preso avvio la nostra ricerca, usando un questionario diffuso su molteplici canali inerenti alla tematica del dolore pelvico cronico. In particolare, la divulgazione su Facebook ha coinvolto gruppi a carattere informativo e di confronto tra persone con diagnosi conclamata o in cerca di diagnosi. La diffusione tramite Instagram ha previsto il coinvolgimento di gruppi ed associazioni che si sono mostrate disponibili alla diffusione del questionario, sia nei loro profili di associazione che in quelli individuali. Altro contributo fondamentale è stato quello di Cistite.info, un’associazione no profit di promozione sociale, composta da donne affette da patologie uro-genitali che si attivano volontariamente in favore di donne con le stesse problematiche. In particolare, questa associazione ha pubblicato il questionario nella sua newsletter settimanale, contribuendo al raggiungimento di numerose compilazioni.
Lo studio ha coinvolto un campione di donne con vulvodinia, alle quali è stato chiesto di ripensare ad alcune decisioni mediche affrontate ed al supporto ricevuto. Le partecipanti si sono differenziate sulla base del loro percorso terapeutico (senza diagnosi di vulvodinia, patologia in corso ed in remissione) e questo ha permesso di identificare la figura della paziente esperta (persona con diagnosi di vulvodinia e sintomi da più di dodici mesi).
Si è ipotizzato che le pazienti esperte condividessero maggiormente le decisioni con lo specialista di riferimento, avessero una maggior soddisfazione relativamente alle comunicazioni sanitarie, percepissero un maggior supporto sociale e conseguentemente una minor catastrofizzazione del loro dolore. Inoltre, sono stati indagati i fattori predisponenti e protettivi circa l’interferenza dei sintomi con la vita quotidiana. L’elemento di base che si è cercato di individuare riguarda la complessità della patologia e conseguentemente la necessità delle donne di essere capite e comprese da parte del personale medico. Chiaramente, non è stata considerata solo la componente sanitaria, ma si è cercato di individuare anche quanto fosse importante la percezione di supporto da parte delle persone vicine alla donna. Infine, è stata indagata la differenza tra paziente esperta e non esperta, in termini di tipologie di specialisti contattati e terapie privilegiate.
Risultati dello studio
Dai risultati emerge che le partecipanti che hanno completato totalmente il questionario sono state 494 e tra queste non ci sono differenze socio demografiche tra chi abbandona e chi compila il questionario (tranne una piccola differenza per cui le donne coinvolte in una relazione sentimentale tendono a compilare maggiormente il questionario). Circa la metà delle partecipanti ha ricevuto la diagnosi da più di 12 mesi e la pandemia da Covid-19 non risulta avere avuto un impatto forte sul processo diagnostico/terapeutico. La metà delle partecipanti tende ad avere consultato oltre quattro specialisti e due terzi del campione identifica il ginecologo o l'urologo come specialista di riferimento. I sintomi più frequentemente indicati sono bruciore e dolore, sia in generale che durante i rapporti sessuali. Sebbene per quasi due terzi si tratti di sintomi intermittenti, con una fluttuazione irregolare o un'intensificazione prima del ciclo mestruale, questi perdurano da lungo tempo, tendenzialmente da qualche anno.
Nella ricerca è stata esaminata anche l'interferenza dei sintomi con la vita quotidiana, dando alle pazienti la possibilità di quantificarla indicando un valore tra 0 a 100 (0 = nessuna interferenza; 100 = massima interferenza). Le nostre partecipanti hanno identificato mediamente come valore di interferenza dei sintomi 62, evidenziando un livello di sofferenza abbastanza elevato. La maggior parte delle partecipanti classifica il proprio disagio come moderato, il quale provoca qualche interferenza con la vita quotidiana, indicando che pur non potendo ignorarlo riescono comunque a svolgere la maggior parte delle proprie attività. Dallo studio emerge che attualmente la metà delle partecipanti non sta seguendo alcun tipo di terapia, mentre chi ne segue, ne adotta due o tre contemporaneamente. Tra le terapie maggiormente utilizzate abbiamo i farmaci orali, la fisioterapia e la terapia topica.
Venendo al focus principale dello studio, ovvero la differenziazione tra pazienti esperte e pazienti non esperte, emergono notevoli differenze tra questi due gruppi. Per valutare se vi siano differenze tra pazienti esperte (cioè con diagnosi di vulvodinia e sintomi da più di dodici mesi, che sono 248) e pazienti non esperte (che sono 246) nella soddisfazione relativamente alle comunicazioni sanitarie, nella condivisione di decisioni con lo specialista di riferimento, nel supporto sociale e nella catastrofizzazione del dolore, sono state condotte una serie di analisi statistiche chiamate analisi della varianza, le quali ci hanno fornito i seguenti risultati:
- Le pazienti esperte tendono ad avere una maggior soddisfazione relativamente alle comunicazioni sanitarie e condividono maggiormente le loro decisioni con lo specialista di riferimento rispetto alle pazienti non esperte.
- Tuttavia non emergono differenze nel supporto sociale/familiare e nella catastrofizzazione rispetto al dolore.
- Inoltre è stato indagato se le pazienti esperte indichino la stessa tipologia di professionista sanitario come principale rispetto alle pazienti meno esperte. Dai risultati si evidenzia come le pazienti meno esperte identifichino il ginecologo e l’urologo come specialista di riferimento, mentre le pazienti esperte tendono a indicare più frequentemente uno specialista del gruppo fisioterapista, ostetrica, osteopata o psicologo.
- Sebbene tra le pazienti meno esperte vi siano alcune ancora senza diagnosi, è più probabile che le pazienti meno esperte stiano seguendo una o più terapie (55.3%) rispetto alle pazienti esperte (41.9%), che includono anche quelle in remissione.
Questa è la panoramica generale per quanto riguarda la differenziazione tra pazienti esperte e non esperte, ma veniamo ai predittori dell’interferenza dei sintomi con la vita quotidiana:
- I risultati mostrano che l’essere una paziente esperta è un fattore di rischio di maggiore impatto dei sintomi sulla vita quotidiana, così come maggiori punteggi elevati di catastrofizzazione (soprattutto legati ai sentimenti di impotenza davanti alla patologia e ruminazione continua sul dolore).
- D’altra parte, lo studio evidenzia che elevati livelli di condivisione con il medico siano un importante fattore protettivo per la donna davanti all’interferenza dei sintomi con la vita quotidiana, in quanto, il supporto ricevuto dal personale sanitario comporta un minor sentimento di solitudine e impotenza davanti ad una patologia con esito incerto.
I risultati ottenuti suggeriscono l’importanza del coinvolgimento della donna e la sua partecipazione ai processi decisionali: condividere le scelte di salute con lo specialista di riferimento risulta essere un fattore positivo e protettivo circa il decorso della patologia. Essere ascoltata, capita e compresa determinerà una percezione positiva della cura.
Altro elemento interessante è quello relativo alla maggior intrusività della patologia nel benessere quotidiano della donna con sintomi da più di dodici mesi, fattore che sottolinea quanto la vulvodinia possa compromettere e logorare il quotidiano. La letteratura scientifica si presenta piuttosto scarsa quando si ricercano studi che vadano a correlare la decisione medico condivisa e la vulvodinia, quantomeno sotto alcuni aspetti, anche a causa del mancato riconoscimento della patologia da parte del Sistema Sanitario Nazionale e dell’assenza di specifiche linee guida per la sua gestione.
Conclusioni e possibili futuri sviluppi
Dai dati emerge una situazione molto complessa che necessita di approfondimento. Alla luce dei risultati ottenuti, sarebbe utile puntare su una maggior formazione alla comunicazione da parte del personale: la possibilità di poter usufruire di maggiori specialisti preparati non solo sulla patologia ma anche sulle modalità relazionali, potrebbe determinare decorsi più favorevoli della vulvodinia, almeno da un punto di vista psicologico. Gli stessi specialisti sanitari, adeguatamente formati, oltre a fornire un panorama più completo circa le possibilità terapeutiche, potrebbero inserire le donne in reti di supporto informandole della presenza di siti internet e gruppi on-line in cui è possibile condividere la propria storia. Questo elemento potrebbe evitare il sentimento di solitudine che tantissime donne con vulvodinia sperimentano, permettendo una maggior elaborazione dell'accaduto. Tra gli obiettivi di lungo periodo si ha la necessità di ottenere dati validi per ampliare le linee guida circa il management della vulvodinia, diffondendo buone pratiche orientate all'ascolto, alla comprensione e al sostegno. Questi elementi permetteranno di ristrutturare il ruolo delle pazienti nelle scelte circa la loro condizione, riprendendo in mano la loro vita attraverso il coinvolgimento attivo nella gestione della patologia.
Bibliografia
Bornstein, J., Goldstein, A. T., Stockdale, C. K., Bergeron, S., Pukall, C., Zolnoun, D., Coady, D., consensus vulvar pain terminology committee of the International Society for the Study of Vulvovaginal Disease (ISSVD), International Society for the Study of Women’s Sexual Health (ISSWSH), & International Pelvic Pain Society (IPPS) (2016). 2015 ISSVD, ISSWSH, and IPPS Consensus Terminology and Classification of Persistent Vulvar Pain and Vulvodynia. The journal of sexual medicine, 13(4), 607–612. https://doi.org/10.1016/j.jsxm.2016.02.167
Brotto, L. A., Nelson, M., Barry, L., & Maher, C. (2021). #ItsNotInYourHead: A Social Media Campaign to Disseminate Information on Provoked Vestibulodynia. Archives of sexual behavior, 50(1), 57–68. https://doi.org/10.1007/s10508-020-01731-w
Graziottin, A., Murina, F., Gambini, D., Taraborrelli, S., Gardella, B., Campo, M., & VuNet Study Group (2020). Vulvar pain: The revealing scenario of leading comorbidities in 1183 cases. European journal of obstetrics, gynecology, and reproductive biology, 252, 50–55. https://doi.org/10.1016/j.ejogrb.2020.05.052
Harlow, B. L., & Stewart, E. G. (2003). A population-based assessment of chronic unexplained vulvar pain: have we underestimated the prevalence of vulvodynia?. Journal of the American Medical Women's Association (1972), 58(2), 82–88.
Hintz, E. A. & Venetis, M. K. (2019). Exploring the effects of patient-provider communication on the lives of women with vulvodynia. In Kellett, P. (Ed.), Narrating patienthood: Engaging diverse voices on health, communication, and the patient experience (pp. 99-116). Lanham, MD: Rowman & Littlefield.