Ero molto indecisa se scrivere ciò che sto per scrivere qui o rispolverando la mia storia. Poi ho deciso di venire qui, perché è da qui che mi va di rivedermi, di riacchiapparmi. Sono passati anni, ANNI. E ora inizia un nuovo anno, altri dodici mesi in cui uscire fuori a combattere. Tra tutte le battaglie, sempre una personale, intima ad aggiungersi alle altre.
Questa battaglia io l'ho affrontata, l'ho vinta, poi l'ho persa di nuovo, l'ho affrontata ancora, vinta, persa, vinta, persa e affrontata ancora. Al punto che mi sono convinta che per stare dietro a questa battaglia servano buone ginocchiere, più che buone patate.
Vi scrivo perché non ho più scritto, e non ho più scritto perché non sopportavo più di pensare unicamente a questa battaglia.
Ma vado per gradi.
Sono passati più di due anni, e la battaglia procede vedendomi in netto vantaggio.
Ho tolto tutti i farmaci, compreso il cymbalta.
Ho smesso di calcolare al minuto quando fare pipì.
Ho smesso di essere legata alle creme e al mannosio.
Ho iniziato ad allentare la tensione.
Ho ricominciato a nuotare.
Ho perso il controllo del perineo.
L'ho recuperato.
Ho avuto bruciori.
Li ho spenti.
Li ho avuti di nuovo, più o meno forti.
Ho sentito il muscolo pelvico duro.
L'ho allentato.
Non ho più avuto cistiti.
NIENTE PIÙ CISTITI.
Mentre succedeva tutto questo, piano piano mi riprendevo la mia vita. Come nel giochino dei vasi comunicanti, la distribuzione dell'interesse intorno alla mia zona pelvica stava finalmente tornando a livelli normali. Ordinari. Così, ogni traguardo ha cessato di diventare un traguardo, ed è stato sacrosanto, ovvio, dovuto.
Ho avuto momenti in cui mi sono sentita di nuovo normale, in cui tra bruciore al vestibolo e mal di testa, sceglievo di dare la precedenza al mal di testa.
Ma ho avuto anche momenti neri, cupi, bastardi, in cui le crisi neuropatiche mi toglievano ogni lucidità, e senza farmaci mi sono sentita in balia del dolore.
E poi li ho recuperati, ripresi, rimessi a stare.
In tutta questa simpatica montagna russa, lo so, non ho più aggiornato. Clinicamente, se fossi a lavoro, forse la chiamerei Sindrome da burnout. La verità è che sono stata debole. Ho deliberatamente scelto di non vedere che ogni singolo passo partiva da qui, dalla mia guarigione, dalla consapevolezza di averla raggiunta, e ho avuto paura a ributtarmi qui. Ho avuto paura che se avessi dato conto dei momenti No, sarebbe stato come vanificare la mia testimonianza. Mi sono dimenticata che anche quello fa parte del viaggio. E di questo mi scuso, che se ognuna di noi l'avesse fatto, l'associazione e il forum non ci sarebbero. Ma è iniziato un nuovo anno, dodici nuovi mesi in cui combattere, e ho deciso di combattere anche la mia paura di non sentirmi guarita anche se lo sono.
È la battaglia piccola, intima di tutti i giorni a farci crescere. Anche nei momenti migliori. Anche in quelli peggiori.
Con il nuovo anno - starò diventando sentimentale? - sentivo che questa sorta di sedimentazione della mia consapevolezza andava scoperta, tirata fuori, rivangata. Sono ancora in viaggio. Cammino più leggera, ma non sono ferma.
Ve lo dovevo.