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#6 di Aida Blanchett il 20 aprile 2010 - 18:49
Il tuo commento é in attesa di essere moderato.
Salve,
mi aggiungo ai commenti di Vittoria, Paola, Simona e Maria Teresa.
La vulvodinia è una patologia *su base organica* che i più recenti studi internazionali attribuiscono al *polimorfismo genico*.
La vulvodinia è assolutamente da distinguersi dalla dispareunia (termine fra l’altro troppo generico derivante dal greco che significa “dolore durante il rapporto”. Più corretto parlare di vaginismo, che può essere primario e secondario, che va trattato in cura terapeutica idonea).
Il dolore delle donne vuvodiniche ha solide basi biologiche, di competenza medica.
Ancora oggi il dolore lamentato dalle donne vulvodiniche viene considerato frutto della loro mente “malata”, un modo contorto per dire all’uomo che tanto desidera che “non ha voglia di fare l’amore”.
La latitanza diagnostica danneggia il diritto a ottenere una diagnosi corretta: un’infiammazione trascurata dei tessuti attiva il passaggio dal dolore “nocicettivo” ( per una causa fisica, che stimola il corpo a difendersi da un attacco, per es. un banale episodio di candidosi oppure di infezione batterica, alimentata dall’uso spregiudicato e nocivo di antibiotici e antimicotici, che distruggono il delicato equilibrio vaginale) a “neuropatico”, cioé una sofferenza delle piccole fibre nervose che si infiammano permanentemente ( e qui subentra il meccanismo genetico difettoso che non permette alle fibre di sfiammarsi una volta debellata la causa scatenante). Come si vede il meccanismo è complesso e attiva un circolo vizioso che va spezzato il prima possibile, anche in primis divulgando una corretta informazione sulla patologia.
Il viraggio da dolore nocicettivo a neuropatico si può evitare. Troppe donne anche molto giovani restano in balìa di un’ignoranza inaccettabile, dovendo oltretutto sopportare costi economici altissimi per nulla se non per ottenere peggioramenti, nonché subire l’onta di sentirsi definite malate immaginarie.
Cordiali Saluti,
Aida Blanchett
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